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Il tuo veleno

Ero lì, seduta sulla panchina che col tempo era diventata mia. Tu eri al di là della strada, appoggiato al muro della casa abbandonata, casco fra le mani e sigaretta in bocca. Il tuo motorino ti aspettava seduto per terra come una pantera nera in attesa del suo domatore, al quale deve la vita per qualche strano motivo.
Mi fissavi, e mentre i tuoi occhi penetravano la mia carne lentamente come pali di ferro roventi, le mie gambe si stringevano a me e le mie ginocchia si attaccavano al mio petto in segno di difesa. Dove, dove posso andare per nascondermi da te, o meraviglia della terra? Ti guardavo con occhi ormai privi di pupille al di sopra delle mie gambe magre, mentre i miei piedi tremavano cercando di non cadere dalla panchina. Sputavi la sigaretta per terra quando uno dei tuoi amici ti dette un pugnetto affettuoso e si avviò per la strada color sabbia ma dalla consistenza terrosa.
Sotto i suoi i piedi si alzava la polvere della terra che non vedeva l’ora di ricevere dell’acqua. Il mio ciuffo biondo mi coprì gli occhi spinto dal vento, come se volesse dirmi: “Hey, hey! Piantala di fissarlo!”. Ma chi ti ascoltò, caro ciuffo? Se solo fossi riuscita a sentire le tue grida. Ti presi delicatamente fra le mani e ti rimisi a posto. Ma non c’era niente da fare, il demone del destino voleva dividerci, voleva fermarsi lì e non avvenire mai più. Per questo mi sputò addosso una goccia d’acqua, che divennero presto due, poi tre… E poi un temporale mi prese per le orecchie e mi fece alzare dalla panchina per correre a casa come un padre arrabbiato. Tu invece alzasti le spalle leggermente e ti mettesti il casco in testa. Poco m’importa della pioggia, pensavi. Resterò qui a finire di fumare, pensavi. Io, oh come mi sentii mancar alzandomi ed essendo vista da te con tutto il corpo… Le mie guance andarono a fuoco, e l’acqua non le spense per tutto il tragitto… Ma quella terra ringraziava il demone del destino e io non potevo pregare perché le venisse tolta la fertilità.
Quanto, quanto tempo ti ho aspettato su quella panchina? Notti? Giorni interi!! E la terra ormai fertile fece crescere i girasoli quando ti vidi di nuovo, giorni dopo, ma nel mio cuore, nel calendario del mio cuore, erano mesi, anni? No, no erano secoli! Perché ormai le lancette dell’orologio che è il mio cuore avevano cominciato a battere in fretta, molto più in fretta del solito. E io lo ascoltavo per addormentarmi: tun-tun-tun-tun! E tu ballavi a ritmo nella mia mente, ti contorcevi al suono della musica e ridevi, con la sigaretta in bocca. E che sapore amaro che avrai..? Ma lo voglio! Lo voglio! Anche se mi avvelena, io lo voglio! Mi creerà forse dipendenza, la tua lingua al gusto di tabacco? Si. Ma io urlerò come un pazzo legato nella camicia di forza che ti voglio! E poi t’ho rivisto, seduto sulla mia panchina. Oh, la rabbia che provai la mischiai alla gioia… Il mio volto m’era diventato nero da una parte, bianco dall’altra.. Il mio cuore si spezzò in due e ti caddi addosso, in un bacio che mi levò il fiato e mi portò per mano in un paradiso dove non vivono gli angeli ma creature fatte della stessa materia di cui si impastava il nostro amore. E stringimi nel tuo bacio al sapore della nicotina che non sento più, dammi ancora il tuo veleno. Ne ho bisogno! E no, no, non è dipendenza.. E’ la tua bocca rossa come truccata che mi mangia, e come vivere senza una parte di me?

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